Tra le personalità presenti al convegno di Milano c’erano anche il sindaco del comune di  Gozzano (provincia di Novara) Carla Biscuola e l’assessore alla cultura Maria Luisa Gregori.

Fu Carla Biscuola, nel gennaio 2015, a telefonare direttamente a Carmen Bracchi, figlia del prigioniero Pietro, per informarla delle iniziative in corso per ricordare questo episodio ormai dimenticato dell’ultima guerra mondiale e a metterla in contatto con Antonio Brescianini, sindaco di Vimodrone e figlio del prigioniero Luigi.

Il nome di Pietro Bracchi e il suo indirizzo in via Gentile a Gozzano erano riportati su un foglietto scritto a mano dal prigioniero Renato Volpi e ritrovato, dopo la sua morte nel 2014, dalla figlia Luisella.

 
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Questo inaspettata telefonata ha permesso a Carmen Bracchi e alla figlia Sara De Giorgis di far parte della delegazione di 22 persone che è stata invitata il 24 ottobre 2015 a Chambersburg per la celebrazione del 70° anniversario del rimpatrio dei prigionieri italiani del campo di Letterkenny.

Il comune di Gozzano ha voluto partecipare all’evento donando una targa raffigurante il palazzo Ardicini, sede del Municipio.

Il sindaco Biscuola e l’assessore Gregori si sono appassionate alla storia di questo periodo della vita del loro concittadino Pietro, che in quanto falegname con laboratorio in centro era molto conosciuto in paese, oltre a realizzare mobili di vario tipo, si recava nelle case per riparazioni o complementi su misura.

Molto volentieri hanno accettato l’invito a partecipare alle celebrazioni che si sono svolte in Italia a Milano il 13 novembre 2015. La mostra fotografica “Prigionieri di guerra italiani a Camp Letterkenny, Chambersburg, Pennsylvania 1944-1945” ha suscitato il loro interesse, soprattutto perché porta a conoscenza una vicenda quasi sconosciuta e un’opera di pregio architettonico tuttora esistente come la Chiesa della Pace.  Il sindaco Biscuola ha sottolineato come in questa occasione “ancora una volta l’Italia si è contraddistinta per lo spirito legato al genio, all’operosità e alla generosità” e ha subito proposto di portare la mostra a Gozzano.

Gozzano è stato il primo comune di origine di un prigioniero ad ospitare la mostra fotografica in ricordo dei prigionieri italiani di Letterkenny, che è diventata così itinerante.

 

Sabato 20 febbraio 2016 alle 15,00 nella Sala Consigliare del Palazzo Municipale di Gozzano si è svolto il convegno di presentazione e successivamente nella Sala degli Stemmi al piano terra dello stesso palazzo l’inaugurazione della mostra fotografica, che è rimasta esposta fino al 5 marzo.

Durante il convegno i due relatori Antonio Brescianini e Flavio G. Conti, curatore della mostra, si sono alternati nel raccontare episodi, aneddoti, momenti di vita e rapporti all’interno del campo, a partire dal trattamento di riguardo e di rispetto dei prigionieri, alla loro collaborazione, tra cui la costruzione della chiesa alla quale Pietro Bracchi ha contribuito per la parte relativa alla falegnameria. I contatti e le amicizie con gli americani e gli italoamericani, gli innamoramenti con le giovani americane. E ancora, la musica, lo sport, la religione, la corrispondenza.

Al termine del convegno, coordinato dall’assessore Maria Luisa Gregori, è intervenuta la figlia Carmen Bracchi De Giorgis che ha ringraziato il sindaco e l’assessore per la loro disponibilità e tutti i presenti, si è detta molto emozionata e commossa nel ricordare suo papà proprio nel ventesimo anniversario della sua morte.

Tra il pubblico anche i familiari di altri prigionieri della zona, nel frattempo rintracciati grazie ai nominativi forniti dal dott. Conti che ha avuto accesso agli archivi militari americani, come Giuseppe Crana, anche lui gozzanese (figlio di Antonio), le sorelle Silvana e Teresa Erbetta (figlie di Angelo) di Romagnano Sesia, Ornella Salsa (figlia di Ubaldo) di Bellinzago Novarese, i gemelli Marco e Pierdomenico Cavagna (figli di Savio) di Omegna.

Alcuni di loro hanno portato alcuni ricordi del periodo bellico conservati dai loro genitori, come fotografie, medaglie al valore, la piastrina di riconoscimento, la borraccia, la gavetta, le posate, il sacco degli indumenti, un quadro ricordo, un sacchettino contenente la sabbia del deserto di El-Alamein (Egitto) che sono stati esposti su un tavolino della sala della mostra unitamente al diario di Pietro Bracchi.

Il taglio del nastro è stato preceduto dal “Silenzio” suonato dal trombettista Fornara membro della banda di Gozzano.

 

Pietro Bracchi

Bracchi PietroPietro Bracchi, classe 1910, di origine valsesiana ma residente a Gozzano, aveva 32 anni quando fu richiamato alle armi, dovette lasciare il suo lavoro di artigiano falegname e la giovane moglie incinta della figlia Carmela (detta Carmen), per essere trasferito, dopo un breve addestramento in Piemonte, in Sicilia a difendere la patria dagli alleati pronti a sbarcare. Lo sbarco puntualmente avvenne e Bracchi fu fatto prigioniero dagli americani. Dopo un periodo sofferto in Africa fu uno dei 51.000 prigionieri italiani trasferiti negli Stati Uniti. In treno fu condotto al campo di Monticello, in Arkansas, a raccogliere cotone e poi nel deposito militare di Letterkenny, in Pennsylvania, vicino a Philadelphia. Gli oltre mille prigionieri cooperatori furono ben trattati e riuscirono a costruire un teatro, un anfiteatro all’aperto, un forno e soprattutto una Chiesa.

Pietro ha lasciato un diario della guerra e della prigionia, in cui racconta lo stupore dello sbarco a New York, un mondo nuovo tanto diverso dalla Valsesia e da Gozzano; la gente ben vestita e nutrita, i negozi, le tante auto, i treni con sedili di velluto e ristorante. In America si trovò benissimo, tranne la sofferenza per la lontananza e mancanza di notizie dalla famiglia, trascorrendo il tempo a lavorare come falegname e a fare riparazioni nelle case degli ufficiali. Il rimpatrio obbligatorio gli impedì di restare, così tornò in Italia nell’autunno del 1945 a riabbracciare la moglie e la figlia Carmen, continuando la sua attività di falegname, allietato dalla nascita della seconda figlia Carla. È morto nel 1996.

Fabio Trevisan (nipote del prigioniero Zefferino) ha eseguito, come negli Stati Uniti, l’originale composizione sacra “Sacrum convivium”, musicata da Mario Garbagnati, un altro illustre prigioniero di guerra, la cui memoria è stata valorizzata dal figlio Ferdinando Garbagnati.

Nel pomeriggio c’è stata infine l’inaugurazione della mostra fotografica (curata dallo storico Flavio Giovanni Conti) presso la sala conferenze del Cimitero Monumentale di Milano.

Accompagnati dall’esecuzione musicale dei bersaglieri e dai saluti di Massimo Borrelli, dirigente dell’Assessorato del Comune di Milano a Commercio e Turismo, i parenti e gli amici dei prigionieri italiani negli USA hanno potuto così gustare, leggere e meditare davanti ai dodici pannelli allestiti all’interno della sala, potendo così scambiarsi vicendevolmente i saluti e dandosi appuntamento ad un’altra grande manifestazione e rievocazione storica come questa, nella speranza di non far trascorrere troppo tempo.

Novembre 2015

                                                                                 

Fabio Trevisan

 

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