“Prigionieri di guerra italiani in Pennsylvania, 1944-1945” è il nome del volume a cura di Flavio Giovanni Conti e Alan R. Perr. Fra i prigionieri a Letterkenny, anche 9 ferraresi.

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etterkenny è un nome che forse ai più non dirà molto, ma che 75 anni fa è diventato, a pieno diritto, luogo di memoria per gli italiani. È infatti il nome del campo che tra il ’44 e il ’45 ospitò – in modo più che dignitoso – più di 1200 soldati provenienti dal nostro Paese (del 321° battaglione di cooperatori), perlopiù catturati nell’ultima fase della campagna di Tunisia.

“Prigionieri di guerra italiani in Pennsylvania, 1944-1945” (Il Mulino, 2018) è il nome del volume a cura di Flavio Giovanni Conti e Alan R. Perry (soci dell’Associazione per la memoria dei prigionieri italiani a Letterkenny – A.M.P.I.L.) che ricostruisce questo scorcio di storia del secolo scorso. Attraverso un lungo e certosino lavoro di ricerca – utilizzando soprattutto documenti di archivio, consultati presso i National Archives a Washington, gli Archivi militari italiani e l’Archivio SegretoVaticano -, i due hanno contattato oltre 440 famiglie, che gli hanno fornito diari, lettere, memorie (spesso inedite), racconti orali e fotografie di loro menbri detenuti nel campo a Chambesburg, a due ore di auto da Washington, fra cui gli unici reduci, il gaetano Giovanni Serpe ed Edoardo Quintarelli di Pescantina (VR).

1 milione e 200mila furono i soldati italiani fatti prigionieri nella Seconda guerra mondiale, dei quali la metà catturati dai tedeschi dopo l’armistizio dell’8 settembre e gli altri dagli Alleati. Fra quest’ultimi, 125mila furono catturati dagli statunitensi, 51mila dei quali furono inviati negli USA, e quindi divisi in 140 campi. Per trasferire i prigionieri italiani negli USA, gli americani utilizzarono soprattutto navi EC-2 del tipo “Liberty”, per un viaggio di circa 20 giorni alla fine del quale sbarcavano nel porto di New York City, Boston o Norfolk/Newport News in Virginia. Da qui, attraverso treni passeggeri, venivano portati nei campi di detenzione.

Cooperatori volontari

Le ragioni per cui molti prigionieri scelsero di cooperare con gli americani furono diverse: “la maggior parte – è scritto nel libro – pensava che l’adesione fosse un dovere militare, dal momento che l’Italia, caduto il fascismo, aveva deciso di aiutare gli Alleati”. Altri prigionieri pensavano invece “che convenisse collaborare anche per guadagnare un po’ di soldi”, o, nel caso di fscisti, “per cercare di far dimenticare il loro passato politico”. Importante fu il contributo di questi circa 1200 soldati italiani all’economia bellica americana, in quanto fornirono la propria manodopera, utilissima in un periodo nel quale gli uomini erano sui vari fronti del conflitto.

L’esistenza dei detenuti cooperatori italiani, seppur limitata negli spostamenti e fatta molto di lavoro, era invidiabile rispetto al trattamento riservato normalmente a persone detenute: vi erano, infatti, diversi momenti di svago, come ad esempio escursioni turistiche, feste da ballo e altre attività ludiche e sociali.

Ciò, soprattutto all’inizio provocò, com’è ben spiegato nel libro, un forte risentimento nei loro confronti da parte della comunità indigene, che non comprendevano il perché di questi benefici elargiti a stranieri, perlopiù detenuti.

Il ruolo della Chiesa Cattolica americana

“Due altri aspetti – è scritto nel libro – resero unica la prigionia dei soldati italiani negli Stati Uniti: la presenza di circa 4 milioni di italoamericani e di una Chiesa cattolica ricca e organizzata”. I primi aiutavano i prigionieri sia con doni materiali e visite nei campi, sia facendo pressioni sulle autorità che fossero trattati al meglio. Invece, “i sacerdoti e i cappellani cattolici, alcuni dei quali italiani o di origine italiana, fornirono il conforto religioso, aiuti materiali e operarono quali intermediari nella corrispondenza tra i prigionieri e le loro famiglie in Italia”. I detenuti cooperatori di Letterkenny, come gli altri prigionieri italiani negli USA, furono molto assistiti dai War Relif Services (WRS) della National Catholic Welfare Conference, l’organizzazione assistenziale dei vescovi americani, nonché dal Vaticano stesso e dalla Delegazione Apostolia a Washington. “La fede – scrivono gli autori nel volume -era iportante per aiutare molti prigionieri a sopportare i lunghi periodi di internamento e la Chiesa Cattolica iniziò a occuparsi dei militari italiani fin dal momento del loro arrivo negli Stati Uniti”.

Storica fu la visita di Mons. Amleto Giovanni Cicognani, allora Delegato Apostolico negli USA, al campo di Letterkenny il 22 ottobre 1944. Nell’occasione, celebrò la Messa (nella quale cresimò 16 soldati), distribuì ai detenuti 1100 copie de Il mio Messale della Domenica, 100 copie del Nuovo Testamento (con dedica), molti crocifissi e rosari. Lasciò inoltre, come dono principale di Pio XII, la somma di 500 dollari da spendere per i bisogni collettivi del battaglione. Non mancava, tra i prigionieri, appartenenti ad altre confessioni, come Sebastiano Ganci, membro della Chiesa cristiana pentecostale.

Poco tempo dopo la visita di Mons. Cicognani, venne approvato un progetto di costruzione di un grande edificio, con 500 posti a sedere, che doveva servire come sala riunioni, cappella, teatro e biblioteca. Nel gennaio ’45, però, i detenuti diedero avvio alla costruzione di una chiesa, con campanile, per evitare che le liturgie si svolgessero in un ambiente polivalente. Domenica 13 maggio 1945, Mons. Cicognani tornò per la seconda volta a Letterkenny per consacrare l’edificio religioso.

Da Ferrara, Cento, Berra e Copparo: tra i ferraresi anche un maggiore di Artiglieria

Questi i nomi dei soldati ferraresi detenuti nel campo di Letterkenny tra il 1944 e il 1945:

Gino Andreotti (Ferrara), soldato di Fanteria; Otello Bortolotti (Ferrara) caporale di Fanteria; Aroldo Cavallini (Cento), caporl maggiore di Fanteria; Gilberto Forlani (Copparo), caporale di Fanteria; Carlo Frontali (Ferrara), soldato di Artiglieria; Flavio Galli (Ferrara), soldato di Cavalleria; Filiberto Sandri (Berra), soldato di Fanteria; Rino Sivieri (Ferrara), caporale dei Carabinieri.

Infine, Paolo Barraco (Ferrara), maggiore di Artiglieria del campo dal 7 agosto al 6 ottobre 1945, in sostituzione del Magg. Bassi. In precedenza, Barraco era stato dal 25 luglio 1943 al 13 marzo 1944 a Camp Hereford in Texas, e poi a Fort G.G. Meade, fin all’arrivo a Letterkenny.

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