Nel volume: “Salvato dallo swing” (edizioni Il Falò), Enzo Riboni ha ripercorso le vicende del padre Giacinto, Prisoner of War (POW) negli Stati Uniti. Il libro, che si è avvalso della ricostruzione storica di Flavio Giovanni Conti (che ha curato anche la prefazione), narra le circostanze che hanno visto protagonista il padre e il suo inseparabile violino, fin dalle prime righe del primo capitolo: “Se avessi qui un violino! Leverei dalla mente ogni preoccupazione e la paura andrebbe a nascondersi tra le note. Il MIO violino!”. Riboni ha scritto questo avvincente romanzo storico (circa 290 pagine) immaginandosi in gran parte le avventure e disavventure del padre,

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dalla cattura in Sicilia all’Africa fino alla prigionia americana, periodo tra il 1943 e il 1945. Molte delle memorie riportate del padre, detenuto dagli americani in North Carolina presso Camp Butner, lo accomunano alla “fortunata” sorte di altri 51.000 italiani prigionieri in circa 60 località degli Stati Uniti, da Letterkenny a Hereford e così via per altri campi di detenzione: dal trattamento umano e persino familiare da parte dei militari statunitensi e delle comunità di italo-americani presenti nel territorio all’amicizia e solidarietà tra compagni di prigionia, dal ruolo dell’arte (in particolare della musica) per rinsaldare vincoli fraterni alla dimensione spirituale. Tutte queste vicende umane sono narrate dall’autore attraverso l’intero romanzo storico, nel quale emergono tutti i sentimenti che hanno accompagnato i POW negli Stati Uniti: dalla paura alla speranza, dalla rabbia al dolore, dalla solidarietà all’amore. Nel rapporto intimo e struggente con il suo violino, Giacinto riscopre l’attaccamento alla vita, il proposito di valorizzare i sentimenti nobili della natura umana (“Uno strumento così elegante si tratta con educazione…”), la nostalgia e l’amore per la moglie lontana: “Del resto credo che il violino, a dispetto della grammatica del suo nome, sia uno strumento di sesso femminile. E’ elegante e sinuoso, è profumato, è leggero, vibra al tocco, ha una voce acuta, ha vita stretta e fianchi larghi…”. La musica, dallo swing al jazz, dal be bop al genere classico o melodico, è talmente ricorrente nel libro da costituire quasi una suite dalla prima all’ultima pagina, come evidenziato da ben più di 70 brani citati e ascoltabili nella versione kindle di Amazon o come riportato nei link a fine libro, nella versione cartacea. Si potrebbe quindi osare di dire che il romanzo di Enzo Riboni si avvale di un accompagnamento musicale, magari da ascoltare pagina dopo pagina e rievocare così, come ha fatto l’autore, ciò che il padre amava suonare e proporre con il suo violino e anche insieme ad altri musicisti. Non sarebbe male quindi leggere il romanzo e ascoltare contemporaneamente i brani musicali richiamati, anzi personalmente caldeggio questa opzione, non solo per erudizione artistica ma soprattutto per calarsi nell’atmosfera di quei tempi, a cui la musica, anche da ballo, contribuisce a dare maggiore comprensione. Il romanzo di Riboni, oltre che i sentimenti, coinvolge persino i sensi del protagonista, dal profumo degli alberi di carrubo della Sicilia all’udito del vento di scirocco sporco di sabbia che soffia dall’Africa sino allo sguardo contemplativo del cielo stellato: “Giacinto vorrebbe uscire, sottrarsi al caldo umido. Vorrebbe guardare il cielo, respirare l’aria della notte cercando tra le stelle il piccolo carro, la stella Polare”. Riboni, pur immerso nella bellezza della poesia della musica, non dimentica tuttavia la durezza della prosa quotidiana, che ha caratterizzato le vicende storiche dei prigionieri militari italiani negli Stati Uniti: dalla gavetta, cucchiaio e forchetta di alluminio con la scritta “Us” al lungo trasporto dalla Sicilia all’Africa (Biserta, Orano) e da questa agli Stati Uniti, dalle cuccette alle brande o stuoie per dormire alla salute fisica (la malaria africana), dal lavoro e dagli escamotage per campare (tornei di boxe) fino alla visione della Statua della Libertà a New York: “Ora è lì, e si avvicina davvero. Esiste. La Statua della Libertà esiste. Non è più un simbolo. Non è solo un posto così lontano da sembrare un’invenzione. L’America, l’altra parte del mondo, esistono davvero”. La figura del padre Giacinto viene caratterizzata in modo propositivo dal figlio-autore del libro, soprattutto attraverso le sagge raccomandazioni della mamma: “Fidati del positivo delle persone, perché si è più spesso ingannati dalla diffidenza che dalla fiducia”. In questo quadro di buoni sentimenti e di fede genuina, testimoniate attraverso la famiglia contadina di origine, emerge la figura di Giacinto, nella quale si possano ritrovare, io credo, il volto e gli stessi sentimenti di tutti coloro che hanno attraversato questa drammatica pagina di storia durante la seconda guerra mondiale e che hanno portato, ad esempio, ad adunarsi in simpatiche orchestre o band musicali, offrendo momenti di svago o distensione e di solidarietà non solo ai compagni di prigionia; o, ancora, hanno coinvolto nella costruzione di cappelle, con materiali di recupero, com’è accaduto a Letterkenny. Durante i momenti difficili, infatti, vengono esplicitamente condensati nel romanzo sentimenti religiosi e devozionali uniti a un’autentica fraternità tra commilitoni: “E mentre rassicura l’amico, Giacinto stringe il piccolo crocefisso d’oro che ha al collo sotto la camicia e sbarra gli occhi tremando senza farsi vedere. “E’ il crocefisso della mia Prima Comunione” pensa Giacinto ricordando quella scena della sua fanciullezza che lo fa ridere anche in questo momento di paura”. Non manca nel libro la rilevanza dei rapporti umani tra compagni di prigionia, soprattutto attraverso l’amicizia con Carletto (finita in modo tragico) e con lo statunitense Donovan, amante anch’egli di musica e di matematica. Il romanzo storico di Enzo Riboni è costellato non solo, come si è detto, di riferimenti musicali ma anche di profumi e sentimenti delicati, che contrastano con la durezza dello scontro bellico e rendono ancor più potente il richiamo dolce, tenero e nostalgico alla famiglia, ai figli e alle mogli lontane. Nelle lettere di Giacinto alla moglie Rosina sono condensate le memorie di tutte le famiglie coinvolte nel periodo di guerra e in quella splendida chiusa epistolare “da fiore a fiore” (Giacinto e Rosina) si può ravvisare il desiderio di pace e armonia che albergava nei cuori dei prigionieri e di tutte le persone a loro collegate. Un romanzo, quello di Enzo Riboni, da leggersi e ascoltare, per i sentimenti e i sensi evocati, per le storie che rimandano all’esperienza e alle situazioni drammatiche vissute. In esso credo possano riconoscersi quanti siano stati coinvolti direttamente, in quanto parenti di qualche prigioniero, e quanti indirettamente abbiano il desiderio di rendersi esatto conto delle vicende umane coinvolte tra le pieghe della storia, tra le storture drammatiche della guerra.

Fabio Trevisan

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